TORRE DI S. ALLUCCIO dal Pinone
CARATTERISTICHE ITINERARIO
Dislivello: Località S. Giusto 410 m. s.l.m. – Monte Pietramarina 585 m. s.l.m. – Gli Spianati 545 m. s.l.m. – Monte La Cupola 633 m. s.l.m. – S. Alluccio 540 m. s.l.m. dislivello totale 386 metri
Distanze progressive: San Giusto – Masso del Diavolo 1.500 metri – Bivio Fonte dello Scodellino in località Gli Spianati 1.900 metri – Fonte dello Scodellino 2.050 metri – Bivio Fonte dello Scodellino in località Gli Spianati 2.200 metri – Poggio Ciliegio 2.800 metri – Bivio Cupola 3.900 metri – Cupola 4.200 metri – Bivio Cupola 4.500 metri – – Torre S. Alluccio 6.100 metri – Distanza totale fra andata e ritorno 12.200 metri
PERCORSO
Il percorso ha inizio non propriamente dal Pinone bensì dalla località San Giusto (410 m. s.l.m.) che è situata nei pressi del Passo del Pinone, sulla strada che collega Carmignano a Vitolini e Empoli: infatti circa 500 metri prima del Pinone, in versante empolese, si trova l’antica Abbazia di San Giusto (410 m. s.l.m.), che è poco distante dalla strada: sul lato opposto della strada stessa ha inizio una carrozzabile asfaltata, preclusa al traffico privato, che conduce ai numerosi ripetitori presenti in questa zona del Montalbano.
Abbazia di S. Giusto – Attualmente l’Abbazia di San Giusto versa in pessime condizioni perchè vittima dell’incuria e dell’abbandono dell’uomo: volgarmente chiamata San Giustone, venne fondata tra l’XI e il XII sec. come abbazia cistercense dipendente dalla vicina badia di San Martino in Campo. La tradizione afferma essere stata costruita da un monaco eremita francese, San Giusto o Giustone, così come la contemporanea chiesa di San Baronto, fondata dal monaco eremita francese San Baronto. La chiesa è in stile romanico e mostra una semplice facciata arricchita da un arco in marmo bianco e verde: sul retro si trovano tre absidi, mentre la massiccia torre campanaria, separata dalla chiesa, in origine doveva essere una torre militare.
Dopo aver osservato l’abbazia possiamo attraversare la strada e prendere in direzione di una larga strada chiusa da una sbarra, (ultimamente, però, sempre alzata: ma ricordiamo che c’è il divieto di transito) che corrisponde con il sentiero n. 300 del Montalbano e che si dirige verso la sommità del monte Pietramarina. Continuiamo a salire e volgendo lo sguardo alle nostre spalle ci appare un panorama maestoso: Empoli e tutto il Valdarno Inferiore fanno bella mostra di loro. Camminiamo sempre lungo la strada fino a quando non arriviamo in cima ad una erta salita: sulla sinistra notiamo le indicazioni per monte Pietramarina e Masso del Diavolo, per cui ci dirigiamo proprio a sinistra. A poche decine di metri dalla strada si trova il Masso del Diavolo, immerso nella grandiosa lecceta di Pietramarina (585 m. s.l.m., 1.500 metri dalla partenza).
Il Masso del Diavolo è un grosso masso di arenaria macigno così chiamato probabilmente per i riti sacrificali che anticamente si svolgevano su di esso: dalla sommità del Masso vasto panorama su tutta la pianura empolese, sulla zona di San Miniato, sul monte Serra e anche su alcune vette delle Alpi Apuane (segnatamente Pania della Croce).
Lecceta di Pietramarina – La parte occidentale del territorio dell’area protetta del monte Pietramarina è caratterizzata da boschi a dominanza di leccio, le cui altezze raggiungono i 20 m., a cui si associano le specie tipiche della macchia mediterranea. Sulla sommità del Monte Pietramarina al leccio si associano numerose piante di agrifoglio a portamento arboreo. Le dimensioni di queste piante di agrifoglio sono uniche nel territorio provinciale, altezze intorno ai 20 m. e diametri del fusto fino ad oltre 50 cm., e probabilmente fra le maggiori in ambito regionale.
Dopo aver osservato il panorama dalla vetta del Masso del Diavolo riprendiamo il cammino: dal masso andiamo a nord lungo la sterrata che giunge nei pressi. Scendendo verso la sella degli Spianati costeggiamo alcuni scavi archeologici che attestano come questa zona del Montalbano fosse abitata fino dai tempi più remoti: agli Spianati (545 m. s.l.m., 1.900 metri dalla partenza) incrociamo nuovamente la strada asfaltata di servizio ai ripetitori . La attraversiamo perché qui siamo al Bivio per la Fonte dello Scodellino: andiamo sul versante opposto della strada e della linea di crinale, versante pratese, e dopo poco raggiungiamo la Fonte dello Scodellino (2.050 metri dalla partenza) una bella e fresca fonte che, però, è quasi sempre secca nel periodo più caldo della stagione, diciamo da inizio
luglio a settembre, anche se quest’anno (2008 n.d.a.) ha continuato a buttare fino alla fine del mese di luglio. Sul lato opposto dello stradello dove si trova la fonte nel 2007 l’Istituto Italiano di Geofisica e Vulcanologia ha installato un impianto per la rilevazione dell’intensità dei terremoti: l’impianto si alimenta con pannelli salari fotovoltaici. Facciamo quindi ritorno nuovamente al Bivio per la Fonte dello Scodellino, la sella degli Spianati (545 m. s.l.m., 2.200 metri dalla partenza) per incrociare la strada asfaltata: ora dobbiamo andare decisamente a destra e iniziare a salire il pendio di Poggio Ciliegio transitando di fianco al grosso ripetitore in cemento armato della Telecom conosciuto come pisellone. Sul Poggio Ciliegio (2.800 metri dalla partenza) si incontra una miriade di ripetitori e fa quasi sorridere il cartello che indica Poggio Ciliegio come sito di rilevanza naturalistica: io direi, piuttosto, come zona da starci il meno possibile perché qui le onde emesse dai ripetitori dovrebbero essere numerose e pericolose per la salute. Proseguiamo il cammino, sempre lungo il sentiero CAI n. 300, e la strada, pur avendo sempre una carreggiata assai larga, diventa ora sterrata, pur se in
ottime condizioni di fondo. Dopo circa un km. di falsopiano troviamo un bivio: siamo al Bivio per il monte La Cupola (3.900 metri dalla partenza). Abbandoniamo la sterrata principale e il sentiero CAI 300 per andare a destra e raggiungere la vetta del monte La Cupola (633 m. s.l.m., 4.200 metri dalla partenza) il colle più alto di tutto il Montalbano: sulla vetta si trovano un edificio e una antenna di servizio per il Corpo dei Vigili del Fuoco. Torniamo quindi al Bivio per il monte La Cupola (4.500 metri dalla partenza) e andiamo a destra lungo la sterrata e il sentiero CAI 300: scendiamo lungo il fianco ovest de La Cupola in versante empolese con ottime vedute sul Valdarno e sul fiume Arno stesso, anche perché la vegetazione è stata tagliata nel corso del 2007 e del 2008 e ora lo sguardo può spaziare in ogni direzione. Camminando ci immergiamo nuovamente nella vegetazione di castagni fino a raggiungere un incrocio di strade al cui centro si trova una pianta di castagno: qui andiamo a dritto in direzione San Baronto tralasciando la strada a destra, diretta a Spazzavento e Bacchereto, e quella a sinistra diretta a Faltognano e Vinci. A poche decine di metri da questo incrocio troviamo sulla sinistra una vecchia pietra miliare : sul lato destro della strada, proprio davanti alla pietra, inizia la breve strada che conduce alla Torre di S. Alluccio (540 m. s.l.m., 6.100 metri dalla partenza).
NOTE STORICHE
Prima della seconda guerra mondiale e fino agli anni cinquanta del Novecento per Ferragosto, Pasquetta e Ascensione era tradizione che le genti di Quarrata e dintorni si recassero alla Torre di S. Alluccio: naturalmente a piedi e in comitiva con il paese che si svuotava quasi del tutto. La sera precedente tutti si preparavano per la gita: pane, braciole impanate (quei pochi che potevano permettersele), uova sode, frittate, frutta, mentre l’acqua veniva presa lungo il percorso alle varie fonti che si potevano incontrare come quella del Nelli, del Sasso Regino, di Tacinaia, della Bettina. Generalmente la colazione veniva fatta al Sasso Regino: per chi capiti ora da quelle parti è difficile credere che la zona fosse priva di alberi e che lo sguardo potesse abbracciare tutta la pianura pratese e pistoiese fino al centro storico di Firenze. Addirittura guardando a ovest, nelle giornate più limpide, si poteva vedere il mare. Nel bellissimo libro Quarrata, voci dal passato, a cura di Laura Caiani Giannini e Carlo Rossetti,
Edizioni Gli Ori, ci viene descritto il viaggio fatto da Quarrata a Sant’Alluccio e la permanenza alla torre dove si trovavano anche la casa del contadino e la casa del guardiacaccia: nella casa del guardiaccia fino al 1950 viveva Oreste Baldacci, guardiacaccia del conte Spalletti, con la moglie Spinalba e la figlia. Purtroppo Oreste, che svolgeva le sue mansioni di guardiano dei boschi in compagnia del suo cane Rai, il 3 aprile 1950 venne ucciso a bastonate nella vicina località de Le Croci dal contadino che abitava nella casa situata sul lato ovest della Torre di S. Alluccio, tale Mengarino (questo è il soprannome perché il nome vero non mi è noto), probabilmente sorpreso a rubare legna. Questo triste episodio è stato ricordato dai parenti del Baldacci con un croce posta sopra un masso proprio in località de Le Croci: di fianco al masso ne è posto un altro più piccolo su cui sono incise O. B. 3.4.1950, cioè le iniziali di Oreste Baldacci e la data del suo assassinio. Per chi volesse vedere il sasso con la croce ricordo che le Croci (dove c’è anche un piccolo circuito per motocross) è il passo che mette in comunicazione Quarrata con Vinci: partendo da Buriano, appena si arriva sul crinale del Montalbano, invece di proseguire per S. Amato di Vinci lungo la strada asfaltata si gira a destra per S. Baronto e dopo pochi metri la si incontra sul lato destro. La zona della Torre di S. Alluccio è stata frequentata fino dall’antichità: da qui passava una delle strade che mettevano in comunicazione la valle dell’Ombrone pistoiese con il Valdarno e, quindi, con la Via Francigena, la più importante arteria del Medioevo. S. Allucio aveva la funzione di ricovero per pellegrini e viandanti: la tradizione afferma che il romitorio sia stato fondato da Alluccio, santo nato in Val di Nievole.
S. Allucio (dal sito www.santiebeati.it) – Sant’Allucio è il Santo di Pescia, e le sue reliquie sono accolte nella bella cattedrale della città. Ed è un Santo che ben incarna le caratteristiche di una terra e di un popolo, perché fu strenuo senza essere rigido; ascetico senza essere astratto; votato alla contemplazione, ma anche pronto all’azione; di profonda pietà, ma anche di ardente carità. Egli era nato, nell’XI secolo, a Campugliano, in Val di Nievole, da famiglia contadina. Ragazzo, custodiva gli armenti, quando si fece notare per insoliti episodi che testimoniavano la sua non comune tempra spirituale. Cresciuto d’anni, venne affidato alla sua operosa pietà l’ospizio di Campugliano, praticamente in rovina. Allucio lo riportò ad un’ammirabile efficienza di bene, aiutato da alcuni compagni ricchi come lui di zelo di carità, detti poi Fratelli di Sant’Allucio. Per assistere meglio i poveri e i bisognosi, il giovane Allucio fondò un altro ospizio sul Monte Albano (proprio alla Torre detta di S. Alluccio). Un terzo lo creò presso
la riva dell’Arno, sul quale costruì addirittura un ponte, per comodità dei pellegrini. Quest’ultima non fu impresa facile, non soltanto per i problemi tecnici ma perché Sant’Allucio dovette convincere e ammansire il traghettatore locale, che traeva lauti guadagni facendo passare i viaggiatori da una sponda all’altra. 1 miracoli, a detta della tradizione, si moltiplicarono numerosissimi intorno al benefattore dei poveri. Per questo gli furono demandate, in città lontane, vere e proprie missioni diplomatiche, che Allucio svolse con successo, riuscendo a pacificare tra loro, per esempio, le due città rivali di Ravenna e di Faenza. Tra gli interventi miracolosi tramandati dalla devozione, il più insolito fu quello dell’uomo al quale erano stati cavati gli occhi, come punizione per qualche delitto commesso, secondo la cosiddetta ” legge del taglione “, comune nel Medioevo. Non per dispregio della giustizia, ma per pietà dell’accecato, anche se colpevole, Sant’Allucio avrebbe rimesso al loro posto gli occhi nelle cave orbite del condannato, restituendogli la vista. Quanto era attivo nel fare il bene, altrettanto era severo con se stesso, Non mangiava mai carne, né formaggio, né uova. Digiunava tre volte alla settimana. E per sette Quaresime consecutive non toccò cibo affatto. Morì il 23 ottobre 1134, sereno e attivo fino all’ultimo istante. Immediatamente venne fatto oggetto di un vivace culto popolare. Soltanto nel ‘700, però, il suo culto venne autorizzato ufficialmente dalla Chiesa, e pochi anni dopo le reliquie di Sant’Allucio trovavano degna accoglienza nella cattedrale di Pescia, la città di cui l’antico Santo penitente e benefattore sembrava fatto su misura.
Il Repetti nel suo Dizionario Corografico della Toscana, stampato nel 1845 e che costituisce la base fondamentale di tutta la storia e la geografia della Toscana, così descriva la Torre di S. Alluccio:
Torre di S. Alluccio – Casalone con torre sopra una delle più eminenti creste del Monte Albano, dove, a riferire del biografo di S. Alluccio, sembra che questi vi avesse edificato un qualche ospizio o eremo, divenuto in seguito possessione del vicino monastero di S. Baronto. È un punto di prospettiva magnifico, di dove si dominano le valli dell’Arno dai monti di Vallombrosa sino a bocca d’Arno con tutte le sue tributarie. Risiede a 929 braccia sopra il livello del mare