CARATTERISTICHE del PERCORSO
Maestrino 300 m. s.l.m. – Torre di S. Alluccio 540 m. s.l.m.: dislivello 240 metri.
Distanze progressive in metri: Maestrino – Acqua Bona 500 metri – Bivio Fonte Sasso Regino 1.600 metri – Fonte Sasso Regino 2.000 metri – Sasso Regino 2.150 metri – Torre S. Alluccio 3.000 metri – Le Croci 4.300 metri – Bivio Fonte Sasso Regino 5.200 metri – Maestrino 6.800 metri
PERCORSO
Buriano (vedi itinerario Ursea) è un borgo di antiche origini con bella chiesa dedicata a San Michele Arcangelo: dista solo 3 km. da Quarrata. Il nostro itinerario, però, inizia 2 km. sopra questo paese: basta proseguire per la larga strada asfaltata che passa per il centro del borgo e si raggiunge la località del Maestrino, 300 m. s.l.m. Qui si lascia l’auto per incamminarci a destra lungo l’ampia strada sterrata che inizia da qui: dopo poche centinaia di metri sulla destra si nota il casotto di presa dell’acquedotto e sulla sinistra una grossa vasca piena d’acqua usata per il servizio antincendio: siamo in località Acquabona (500 metri dalla partenza). Sempre camminando sull’ampia carrareccia giungiamo ad un ampio slargo dove la stessa strada termina. In realtà qui termina solamente quella che doveva essere la strada che univa Quarrata a Vinci, la cui costruzione è stata abbandonata in questo luogo sembra per ragioni geologiche: eccessiva quantità di
acqua che la facevano franare. Dalla parte di Vinci, invece, la strada è stata costruita fino al crinale del Montalbano e termina al passo delle Croci. Dalla parte sinistra di questo spiazzo ha invece inizio una stretta strada sterrata: la percorriamo solo per cento metri perché alla prima curva che la strada compie a destra noi andiamo dritti per un’altra sterrata seguendo le indicazioni per la Fonte del Sasso Regino (il bivio si trova a 1.600 metri dalla partenza). Percorriamo questa strada per alcune centinaia di metri fino a quando un’altra indicazione non ci dice di lasciarla per andare a sinistra lungo uno stretto sentiero protetto da una balaustra in legno che in pochi minuti ci porta alla Fonte del Sasso Regino (2.000 metri dalla partenza) restaurata nel corso del 2006 da parte del Comune di Quarrata in collaborazione con l’Associazione Alpini di Quarrata. Si tratta di una antica fonte che era caduta in degrado: bene ha fatto il comune a restaurarla perché da essa sgorga un’acqua fresca e molto buona. Fatto ritorno alla sterrata che abbiamo lasciato, andiamo a sinistra e dopo pochi minuti di cammino incontriamo il Sasso Regino (2.150 metri dalla partenza), un grosso masso calcareo che dà il nome a tutta la zona: quest’area, prima della seconda guerra mondiale, era priva di vegetazione (ce lo dicono le fotografie d’annata) e da sopra il Sasso si godeva di un bel panorama su tutta la pianura pistoiese, pratese e fiorentina; sopra il Masso si trova quella che sembra una grossa impronta di piede, l’avrebbe lasciata il diavolo in persona. Dal Sasso di prosegue sul sentiero che ora diviene più stretto: fra la vegetazione è possibile dare uno sguardo alla pianura. Usciti dal bosco incontriamo una strada: è quella che è stata usata dai mezzi di lavoro che sono serviti per costruire la grossa antenna che si trova sul lato nord della zona della Torre di S. Alluccio. Noi andiamo a destra per
incontrare, dopo poco, il sentiero CAI 300, quello di crinale che, partendo da Capraia, raggiunge il Passo di Serravalle. Qui andiamo a sinistra e dopo poche centinaia di metri, nei pressi di un antica pietra miliare, andiamo ancora a sinistra perché vediamo i ruderi della Torre di S. Alluccio (450 m. s.l.m., 3.000 metri dalla partenza). Dell’antica torre di proprietà del Conte Spalletti di Lucciano, della casa del contadino (situata sul lato ovest) e della casa del guardiacaccia ora restano i ruderi, ma sono sufficienti a far intravedere la magnificenza di un tempo. La zona si presenta come un vasto pianoro punteggiato da alberi e da grosse antenne: un tempo qui di alberi ce n’erano pochi e tutta l’area veniva coltivata a grano, orzo e patate, tanto da rendere autosufficienti le famiglie che vi abitavano. Sul pianoro insiste una grossa croce installata dall’Associazione Nazionale Alpini di Quarrata: sono loro che una volta l’anno, in occasione della loro festa che svolgono qui (generalmente nell’ultima domenica del mese di giugno) danno una pulita alla zona. Visitato il pianoro di S. Alluccio facciamo ritorno al sentiero 300: andiamo ora a destra in discesa, sempre seguendo il sentiero, per raggiungere dopo 1 km. e 300 metri da S. Alluccio il valico de Le Croci (452 m. s.l.m., 4.300 metri dalla partenza) che mette in comunicazione Quarrata con S. Amato e Vinci. Al valico andiamo a destra sulla carrozzabile che prosegue prima il falsopiano e poi, assai sconnessa, in ripida discesa per condurci al bivio per la Fonte del Sasso Regino (5.200 metri dalla partenza): al bivio andiamo a sinistra per immetterci nuovamente nel percorso fatto all’andata che ci conduce alla Rocca del Maestrino, per un totale di itinerario di 6.800 metri
TORRE DI S. ALLUCCIO: NOTE STORICHE
Prima della seconda guerra mondiale e fino agli anni cinquanta del Novecento per Ferragosto, Pasquetta e Ascensione era tradizione che le genti di Quarrata e dintorni si recassero alla Torre di S. Alluccio: naturalmente a piedi e in comitiva con il paese che si svuotava quasi del tutto. La sera precedente tutti si preparavano per la gita: pane, braciole impanate (quei pochi che potevano permettersele), uova sode, frittate, frutta, mentre l’acqua veniva presa lungo il percorso alle varie fonti che si potevano incontrare come quella del Nelli, del Sasso Regino, di Tacinaia, della Bettina. Generalmente la colazione veniva fatta al Sasso Regino: per chi capiti ora da quelle parti è difficile credere che la zona fosse priva di alberi e che lo sguardo potesse abbracciare tutta la pianura pratese e pistoiese fino al centro storico di Firenze. Addirittura guardando a ovest, nelle giornate più limpide, si poteva vedere il mare. Nel bellissimo libro Quarrata, voci dal passato, a cura di Laura Caiani Giannini e Carlo Rossetti, Edizioni Gli Ori, ci viene descritto il viaggio fatto da Quarrata a Sant’Alluccio e la permanenza alla torre dove si trovavano anche la casa del contadino e la casa del guardiacaccia: nella casa del guardiaccia fino al 1950 viveva Oreste Baldacci, guardiacaccia del conte Spalletti, con la moglie Spinalba e la figlia. Purtroppo Oreste, che svolgeva le sue mansioni di guardiano dei boschi in compagnia del suo cane Rai, il 3 aprile 1950 venne
ucciso a bastonate nella vicina località de Le Croci dal contadino che abitava nella casa situata sul lato ovest della Torre di S. Alluccio, tale Mengarino (questo è il soprannome perché il nome vero non mi è noto), probabilmente sorpreso a rubare legna. Questo triste episodio è stato ricordato dai parenti del Baldacci con un croce posta sopra un masso proprio in località de Le Croci: di fianco al masso ne è posto un altro più piccolo su cui sono incise O. B. 3.4.1950, cioè le iniziali di Oreste Baldacci e la data del suo assassinio. Per chi volesse vedere il sasso con la croce ricordo che le Croci (dove c’è anche un piccolo circuito per motocross) è il passo che mette in comunicazione Quarrata con Vinci: partendo da Buriano, appena si arriva sul crinale del Montalbano, invece di proseguire per S. Amato di Vinci lungo la strada asfaltata si gira a destra per S. Baronto e dopo pochi metri la si incontra sul lato destro.
La zona della Torre di S. Alluccio è stata frequentata fino dall’antichità: da qui passava una delle strade che mettevano in comunicazione la valle dell’Ombrone pistoiese con il Valdarno e, quindi, con la Via Francigena, la più importante arteria del Medioevo. S. Allucio aveva la funzione di ricovero per pellegrini e viandanti: la tradizione afferma che il romitorio sia stato fondato da Alluccio, santo nato in Val di Nievole.
S. Allucio (dal sito www.santiebeati.it) – Sant’Allucio è il Santo di Pescia, e le sue reliquie sono accolte nella bella cattedrale della città. Ed è un Santo che ben incarna le caratteristiche di una terra e di un popolo, perché fu strenuo senza essere rigido; ascetico senza essere astratto; votato alla contemplazione, ma anche pronto all’azione; di profonda pietà, ma anche di ardente carità. Egli era nato, nell’XI secolo, a Campugliano, in Val di Nievole, da famiglia contadina. Ragazzo, custodiva gli armenti, quando si fece notare per insoliti episodi che testimoniavano la sua non comune tempra spirituale. Cresciuto d’anni, venne affidato alla sua operosa pietà l’ospizio di Campugliano, praticamente in rovina. Allucio lo riportò ad un’ammirabile efficienza di bene, aiutato da alcuni compagni ricchi come lui di zelo di carità, detti poi Fratelli di Sant’Allucio. Per assistere meglio i poveri e i bisognosi, il giovane Allucio fondò un altro ospizio sul Monte Albano (proprio alla Torre detta di S. Alluccio). Un terzo lo creò presso la riva dell’Arno, sul quale costruì addirittura un ponte, per comodità dei pellegrini. Quest’ultima non fu impresa facile, non soltanto per i problemi tecnici ma perché Sant’Allucio dovette convincere e ammansire il traghettatore locale, che traeva lauti guadagni facendo passare i viaggiatori da una sponda all’altra. 1 miracoli, a detta della tradizione, si moltiplicarono numerosissimi intorno al benefattore dei poveri. Per questo gli furono demandate, in città lontane, vere e proprie missioni diplomatiche, che Allucio svolse con successo, riuscendo a pacificare tra loro, per esempio, le due città rivali di Ravenna e di Faenza. Tra gli interventi miracolosi tramandati dalla devozione, il più insolito fu quello dell’uomo al quale erano stati cavati gli occhi, come punizione per qualche delitto commesso, secondo la cosiddetta ” legge del taglione “, comune nel Medioevo. Non per dispregio della giustizia, ma per pietà dell’accecato, anche se colpevole, Sant’Allucio avrebbe rimesso al loro posto gli occhi nelle cave orbite del condannato, restituendogli la vista. Quanto era attivo nel fare il bene, altrettanto era severo con se stesso, Non mangiava mai carne, né formaggio, né uova. Digiunava tre volte alla settimana. E per sette Quaresime consecutive non toccò cibo affatto. Morì il 23 ottobre 1134, sereno e attivo fino all’ultimo istante. Immediatamente venne fatto oggetto di un vivace culto popolare. Soltanto nel ‘700, però, il suo culto venne autorizzato ufficialmente dalla Chiesa, e pochi anni dopo le reliquie di Sant’Allucio trovavano degna accoglienza nella cattedrale di Pescia, la città di cui l’antico Santo penitente e benefattore sembrava fatto su misura.
Il Repetti nel suo Dizionario Corografico della Toscana, stampato nel 1845 e che costituisce la base fondamentale di tutta la storia e la geografia della Toscana, così descrive la Torre di S. Alluccio e il Montalbano:
Torre di S. Alluccio – Casalone con torre sopra una delle più eminenti creste del Monte Albano, dove, a riferire del biografo di S. Alluccio, sembra che questi vi avesse edificato un qualche ospizio o eremo, divenuto in seguito possessione del vicino monastero di S. Baronto. È un punto di prospettiva magnifico, di dove si dominano le valli dell’Arno dai monti di Vallombrosa sino a bocca d’Arno con tutte le sue tributarie. Risiede a 929 braccia sopra il livello del mare.
Monte Albano nel Pistoiese – Dicesi Monte Albano la più elevata diramazione dell’Appennino che dalla foce di Serravalle stendesi nella direzione di maestro a scirocco fra l’Ombrone pistojese e l’Arno sino alla gola della Golfolina, dal 28° 29′ al 28 ° 41′ di longitudine e dal 43° 44′ al 43° 55′ di latitudine. Le sue principali cime denominate Pietra marina e S. Alluccio sono elevate sopra il livello del mare, quella 984, e questa 929 braccia. Trovansi nel suo fianco orientale le Comunità di Carmignano e di Tizzana, nel lato occidentale Monte Vettolini, Lamporecchio, Vinci e Cerreto Guidi, a settentrione maestro Serravalle, e a scirocco Capraja. – La natura del terreno partecipa nella massima parte di quello di sedimento inferiore, coperto nella sua base orientale da sedimenti palustri, e nel suo fianco occidentale da immensi depositi di ciottoli e ghiaje che ricuoprono una marna ricca di fossili terrestri e marini. Alla parte australe di questa diramazione fu dato il nome di Barco Reale per un vasto parco, vestito di selve, fatto circondare di mura dal Gran Duce Ferdinando II ad uso di caccia.