Torre di Sant’Alluccio (da Faltognano)

CARATTERISTICHE ITINERARIO
Dislivello 211 metri – Faltognano 319 m. s.l.m. – Torre di S. Alluccio 540 m. s.l.m.
Distanza 4.000 metri – Tempo occorrente 2 ore.

Tappa intermedia alla Fonte del Sassone: da Faltognano (319) alla Fonte del Sassone (465) dislivello 146, distanza 2.500 metri, tempo 1 h. e 15 minuti.

PERCORSO

Chiesa di Santa Maria a Faltognano

Il nostro itinerario inizia da Faltognano. Faltognano e’ un piccolo borgo situato a 7 km. da Vinci, sulla strada che unisce Anchiano a Vitolini: il territorio e’ attraversato dal Muro del Barco Reale Mediceo, costruito nel 1624, cosi’ come risale allo stesso anno la cosiddetta Cappella del Barco. In paese si trova la chiesa di Santa Maria, gia’ esistente nel Duecento, e’ piu’ volte trasformata nel corso dei secoli: nel XIX secolo fu ricostruita in stile neorinascimentale a croce latina, navata unica e copertura a volte. E’ caratterizzata da un basso campanile e da un portico antistante la facciata, preceduto da un ampio terrazzo. Davanti alla facciata della chiesa di trova il grande leccio di Faltognano, che raggiunge un’altezza di 19 metri, ha un fusto di 5,20 metri di circonferenza ed e’ citato tra le piante monumentali della Toscana.
Dalla chiesa percorriamo circa 200 metri e, poi, svoltiamo a sinistra lungo la strada che si dirige verso il monte: da ora in poi seguiremo sempre il sentiero CAI n. 14; percorriamo poche centinaia di metri e la strada diviene sterrata. Proseguiamo il cammino su questa carrareccia, dal fondo assai sconnesso, ed entriamo nel fitto bosco: dapprima si tratta del solito bosco ceduo, con castagni e pini, ma, dopo un paio di km. dalla partenza, la strada si addentra in un bosco di querce, bello e vastissimo. Anche se è stato tagliato di recente, la grande quantità di piante di quercia meraviglia chi percorra questa mulattiera: non per niente questo vasto tratto del Montalbano, che guarda il Valdarno, prende il nome di Quercetelle, e mai nome fu più appropriato. Giungiamo così ad un bivio: qui si trova, all’inizio della strada che va a destra, la Fonte del Sassone (quota 465): noi, però, tralasciamo la strada di destra, dopo aver fatto una bella bevuta alla fonte, diretta alla Sella degli Spianati (località riconoscibile perché piena di antenne, compresa  compresa quella di cemento armato), e al Monte Pietramarina, e andiamo a sinistra sempre seguendo il sentiero CAI n. 14. La mulattiera compie un’ampia curva nel bosco delle Quercetelle: dopo un po’ dalla strada si diparte sulla destra un’altra mulattiera, che noi evitiamo, proseguendo sempre il cammino sulla strada principale che va verso sinistra, infine, raggiunge un incrocio di mulattiera, e di sentieri, situato proprio ai piedi della Torre di S. Alluccio. Quello dal quale proveniamo è il sentiero CAI n. 14, a destra prosegue il sentiero n. 300, diretto a monte La Cupola e al monte Pietramarina, a sinistra il 300 si dirige verso San Baronto, mentre a dritto il sentiero n. 3 si dirige verso la località Midolla e il piccolo borgo di Spazzavento.

Torre di Sant’Alluccio

Noi andiamo a sinistra per poche decine di metri per svoltare a destra ed arrivare così alla Torre di S. Alluccio (quota 540).  Dell’antica torre, di proprietà del Conte Spalletti di Lucciano, della casa del contadino (situata sul lato ovest) e della casa del guardiacaccia ora restano i ruderi, ma sono sufficienti a far intravedere la magnificenza di un tempo. La zona si presenta come un vasto pianoro punteggiato da alberi e da grosse antenne: un tempo qui di alberi ce n’erano pochi e tutta l’area veniva coltivata a grano, orzo e patate, tanto da rendere autosufficienti le famiglie che vi abitavano. Sul pianoro insiste una grossa croce installata dall’Associazione Nazionale Alpini di Quarrata: sono loro che una volta l’anno, in occasione della loro festa che svolgono qui (generalmente nell’ultima domenica del mese di giugno) danno una pulita alla zona.

Nei pressi di Faltognano s’incontra un tratto del Barco Reale Mediceo.
Il Barco Reale Mediceo venne realizzato nel XVI secolo e costituiva una delle più importante riserve di caccia della famiglia dei Medici: il toponimo barco stava ad indicare un terreno boschivo circondato da un recinto, in questo caso un territorio delimitato da un robusto muro al cui interno di trovavano tante specie di animali da poter cacciare. Il muro di questa bandita partiva da Poggio alla Malva, dove ancora oggi si trova la Porta d’accesso, raggiungeva Vitolini, Mignana, Faltognano, Papiano, sfiorava San Baronto, aggirava il Montalbano spingendosi sul lato nord oltre il Colle di Montefiore, arrivava a Montemagno (nei pressi del cimitero di questo paese, lungo la strada che conduce a Lucciano, si trova ancora la casa del guardia del Barco), sfiorava Campiglio e Villa la Magia, risaliva subito al di sopra degli abitati di Lucciano, Montorio e Buriano, raggiungeva Spazzavento, oltrepassava a nord il borgo di Bacchereto, superava Santa Cristina a Mezzana e, infine, raggiungeva Artimino, dove si trova la grande villa La Ferdinanda, che era la residenza di caccia dei Medici, e Poggio alla Malva. I lavori di costruzione del Barco Reale iniziarono nel 1624 e terminarono nel maggio del 1626 sotto il regno di Ferdinando I: il muro di recinzione, costruito in  pietre di arenaria e arenaria macigno di dimensioni molto grandi, legate con calce, ed era dotato di cancelli e piccoli ponti per il passaggio delle acque, ma, mentre i cancelli sono del tutto scomparsi, restano ancora piccole tracce dei ponti e cateratte. Le mura delimitavano una grande estensione di terreno, circa 50 km. di cui ne restano tracce per 30 km., al cui interno si trovavano numerose fattorie come quella di Ginestre, di Artimino e molte case abitate dalla Guardie e dai Birri (vedi il Casino dei Birri sul monte Pietramarina), sorveglianti del barco che avevano il compito di tutelare il patrimonio faunistico e boschivo della tenuta. Esistevano, infatti, delle regole molte rigide riguardo la caccia, il taglio dei boschi e il mantenimento delle mura. Con l’avvento dei Lorena nel 1738 il barco fu soggetto ad uno sfruttamento più razionale: la gestione diretta delle fattorie granducali venne affidata agli affittuari che avevano il compito di anticipare la rendita al proprietario. Sempre ai Lorena si deve la suddivisione del barco in dieci parti, chiamate decimi, per la rotazione dei tagli degli alberi, e la realizzazione di una pianta del perimetro della bandita attribuita a Bernardo Sgrilli. Tale planimetria dettagliata fa capire che nella alla metà del Settecento l’interesse per il barco era esclusivamente legato al commercio del legname: dopo la seconda metà del XVIII secolo, per la diminuita richiesta di legname e per i costosi lavori di manutenzione necessari, il barco venne dimenticato. Il granduca Pietro Leopoldo tentò di ripristinare il barco, ma venne fermato nelle sue intenzioni dalle ingenti spese che si sarebbero dovute affrontare: così il 13 luglio 1772 giunse inevitabile la sbandita del Barco Reale, che decretò anche la vendita della fattorie in esso contenute e la demolizione di alcuni tratti delle mura. Nell’ottocento, poi, le pietre del barco vennero usate per delimitare poderi e terreni privati: così oggi non sono molti i tratti visibili, tra i quali quello che si trova su questo percorso è sicuramente uno dei meglio conservati.
Torre di S. Alluccio (540 m. s.l.m., 3.000 metri dalla partenza. Dell’antica torre di proprietà del Conte Spalletti di Lucciano, della casa del contadino (situata sul lato ovest) e della casa del guardiacaccia ora restano i ruderi, ma sono sufficienti a far intravedere la magnificenza di un tempo. La zona si presenta come un vasto pianoro punteggiato da alberi e da grosse antenne: un tempo qui di alberi ce n’erano pochi e tutta l’area veniva coltivata a grano, orzo e patate, tanto da rendere autosufficienti le famiglie che vi abitavano. Sul pianoro insiste una grossa croce installata dall’Associazione Nazionale Alpini di Quarrata: sono loro che una volta l’anno, in occasione della loro festa che svolgono qui (generalmente nell’ultima domenica del mese di giugno) danno una pulita alla zona.

NOTE STORICHE
Prima della seconda guerra mondiale e fino agli anni cinquanta del Novecento per Ferragosto, Pasquetta e Ascensione era tradizione che le genti di Quarrata e dintorni, così come quelle di Vinci e Faltognano, si recassero alla Torre di S. Alluccio: nella torre si trovavano anche la casa del contadino e la casa del guardiacaccia del Conte Spalletti di Lucciano. Nella casa del guardiacaccia fino al 1950 viveva Oreste Baldacci, guardiacaccia del conte Spalletti, con la moglie Spinalba e la figlia. Purtroppo Oreste, che svolgeva le sue mansioni di guardiano dei boschi in compagnia del suo cane Rai, il 3 aprile 1950 venne ucciso a bastonate nella vicina località de Le Croci dal contadino che abitava nella casa situata sul lato ovest della Torre di S. Alluccio, tale Mengarino (questo è il soprannome perché il nome vero non mi è noto), probabilmente sorpreso a rubare legna. Questo triste episodio è stato ricordato dai parenti del Baldacci con un croce posta sopra un masso proprio in località de  Le Croci: di fianco al masso ne è posto un altro più piccolo su cui sono incise O. B. 3.4.1950, cioè le iniziali di Oreste Baldacci e la data del suo assassinio. Per chi volesse vedere il sasso con la croce ricordo che le Croci (dove c’è anche un piccolo circuito per motocross) è il passo che mette in comunicazione Quarrata con Vinci: dalla Torre di S. Alluccio è distante una quindicina di minuti camminando sul sentiero CAI n. 300 in direzione San Baronto.

La zona della Torre di S. Alluccio è stata frequentata fino dall’antichità: da qui passava una delle strade che mettevano in comunicazione la valle dell’Ombrone pistoiese con il Valdarno e, quindi, con la Via Francigena, la più importante arteria del Medioevo. S. Alluccio aveva la funzione di ricovero per pellegrini e viandanti: la tradizione afferma che il romitorio sia stato fondato da Allucio, santo nato in Val di Nievole.
S. Allucio  (dal sito  www.santiebeati.it) Sant’Allucio è il Santo di Pescia, e le sue reliquie sono accolte nella bella cattedrale della città. Ed è un Santo che ben incarna le caratteristiche di una terra e di un popolo, perché fu strenuo senza essere rigido; ascetico senza essere astratto; votato alla contemplazione, ma anche pronto all’azione; di profonda pietà, ma anche di ardente carità. Egli era nato, nell’XI secolo, a Campugliano, in Val di Nievole, da famiglia contadina. Ragazzo, custodiva gli armenti, quando si fece notare per insoliti episodi che testimoniavano la sua non comune tempra spirituale. Cresciuto d’anni, venne affidato alla sua operosa pietà l’ospizio di Campugliano, praticamente in rovina. Allucio lo riportò ad un’ammirabile efficienza di bene, aiutato da alcuni compagni ricchi come lui di zelo di carità, detti poi Fratelli di Sant’Allucio. Per assistere meglio i poveri e i bisognosi, il giovane Allucio fondò un altro ospizio sul Monte Albano (proprio alla Torre detta di S. Alluccio). Un terzo lo creò presso la riva dell’Arno, sul quale costruì addirittura un ponte, per comodità dei pellegrini. Quest’ultima non fu impresa facile, non soltanto per i problemi tecnici ma perché Sant’Allucio dovette convincere e ammansire il traghettatore locale, che traeva lauti guadagni facendo passare i viaggiatori da una sponda all’altra. 1 miracoli, a detta della tradizione, si moltiplicarono numerosissimi intorno al benefattore dei poveri. Per questo gli furono demandate, in città lontane, vere e proprie missioni diplomatiche, che Allucio svolse con successo, riuscendo a pacificare tra loro, per esempio, le due città rivali di Ravenna e di Faenza. Tra gli interventi miracolosi tramandati dalla devozione, il più insolito fu quello dell’uomo al quale erano stati cavati gli occhi, come punizione per qualche delitto commesso, secondo la cosiddetta ” legge del taglione “, comune nel Medioevo. Non per dispregio della giustizia, ma per pietà dell’accecato, anche se colpevole, Sant’Allucio avrebbe rimesso al loro posto gli occhi nelle cave orbite del condannato, restituendogli la vista. Quanto era attivo nel fare il bene, altrettanto era severo con se stesso, Non mangiava mai carne, né formaggio, né uova. Digiunava tre volte alla settimana. E per sette Quaresime consecutive non toccò cibo affatto. Morì il 23 ottobre 1134, sereno e attivo fino all’ultimo istante. Immediatamente venne fatto oggetto di un vivace culto popolare. Soltanto nel ‘700, però, il suo culto venne autorizzato ufficialmente dalla Chiesa, e pochi anni dopo le reliquie di Sant’Allucio trovavano degna accoglienza nella cattedrale di Pescia, la città di cui l’antico Santo penitente e benefattore sembrava fatto su misura.

Il Repetti nel suo Dizionario Corografico della Toscana, stampato nel 1845 e che costituisce la base fondamentale di tutta la storia e la geografia della Toscana, così descrive la Torre di S. Alluccio e il Montalbano:
Torre di S. Alluccio – Casalone con torre sopra una delle più eminenti creste del Monte Albano, dove, a riferire del biografo di S. Alluccio, sembra che questi vi avesse edificato un qualche ospizio o eremo, divenuto in seguito possessione del vicino monastero di S. Baronto. È un punto di prospettiva magnifico, di dove si dominano le valli dell’Arno dai monti di Vallombrosa sino a bocca d’Arno con tutte le sue tributarie. Risiede a 929 braccia sopra il livello del mare.
Monte Albano nel Pistoiese
Dicesi Monte Albano la più elevata diramazione dell’Appennino che dalla foce di Serravalle stendesi nella direzione di maestro a scirocco fra l’Ombrone pistojese e l’Arno sino alla gola della Golfolina, dal 28° 29′ al 28 ° 41′ di longitudine e dal 43° 44′ al 43° 55′ di latitudine. Le sue principali cime denominate Pietra marina e S. Alluccio sono elevate sopra il livello del mare, quella 984, e questa 929 braccia. Trovansi nel suo fianco orientale le Comunità di Carmignano e di Tizzana, nel lato occidentale Monte Vettolini, Lamporecchio, Vinci e Cerreto Guidi, a settentrione maestro Serravalle, e a scirocco Capraja. – La natura del terreno partecipa nella massima parte di quello di sedimento inferiore, coperto nella sua base orientale da sedimenti palustri, e nel suo fianco occidentale da immensi depositi di ciottoli e ghiaje che ricuoprono una marna ricca di fossili terrestri e marini. Alla parte australe di questa diramazione fu dato il nome di Barco Reale per un vasto parco, vestito di selve, fatto circondare di mura dal Gran Duce Ferdinando II ad uso di caccia.