Omomorto

Omomorto e’ una localita’ del Casentino, Comune di Pratovecchio, situata sulla Strada Regionale della Consuma, esattamente al km. 22. Non c’e’ alcuna costruzione ad identificarla, solo un cartello stradale ed un bel cartello esplicativo che ne giustifica lo strano toponimo: nei tempi passati un mucchio di sassi era ben visibile a lato dell’antica strada che mette in comunicazione il Valdarno con il Casentino. La localita’ trae il nome da un fatto storico avvenuto qui nel 1281 e che prende origine dal castello di Romena. Ai tempi del conte Alessandro e di Guido Pace ebbe dimora nel castello Mastro Adamo da Brescia, contraffattore espertissimo, che i conti avevano istigato a falsificare i fiorini d’ oro di Firenze. Questo famoso episodio e’ narrato da Dante nella Divina Commedia, Inferno canto XXX. Scoperta la sua truffa, Mastro Adamo fuggi’ da Firenze in direzione di Romena per ripararsi nel castello, ma i suoi inseguitori lo raggiunsero poco sotto la Consuma ed eseguirono la sua condanna a morte bruciandolo vivo. Da allora in poi chi transitava per la mulattiera dove era morto Mastro Adamo, per un gesto di pieta’ o solo per superstizione, gettava un sasso proprio nel punto dove giaceva il corpo del falsario. Li’ si formo’ un cumulo di pietre, chiamato in dialetto toscano Macia, appunto la Macia dell’Omo Morto.
Divina Commedia – Inferno canto XXX versetti 58 – 79

O voi che sanz’alcuna pena siete, 
e non so io perché, nel mondo gramo», 
diss’elli a noi, «guardate e attendete                             

a la miseria del maestro Adamo: 
io ebbi vivo assai di quel ch’i’ volli, 
e ora, lasso!, un gocciol d’acqua bramo.                      

Li ruscelletti che d’i verdi colli 
del Casentin discendon giuso in Arno, 
faccendo i lor canali freddi e molli,                                 

sempre mi stanno innanzi, e non indarno, 
ché l’imagine lor vie più m’asciuga 
che ’l male ond’io nel volto mi discarno.                       

La rigida giustizia che mi fruga 
tragge cagion del loco ov’io peccai 
a metter più li miei sospiri in fuga.         
                       
Ivi è Romena, là dov’io falsai 
la lega suggellata del Batista; 
per ch’io il corpo sù arso lasciai.                                   

Ma s’io vedessi qui l’anima trista 
di Guido o d’Alessandro o di lor frate, 
per Fonte Branda non darei la vista